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Dic 20 2020

Coaching e risultati migliori

Misurare i risultati generati da un percorso di coaching è importante, anche se non è sempre facile. È vero però che affrontare questo argomento come minimo migliora i risultati stessi e influenza positivamente il percorso per raggiungerli. E consente di diventare un professionista o una professionista migliore, più consapevole.

Credo ci siano pochi dubbi sul fatto che fare un percorso di coaching è un modo straordinario per migliorare le prestazioni.

Questo può riguardare il caso di un imprenditore che vuole dare una svolta al proprio business, o un manager di un’azienda multinazionale che vuole migliorare le performance delle sue valutazioni annuali. Ma anche un professionista che desidera avviare un’attività in proprio.

Insomma, il coaching può aiutare davvero a fare la differenza. Può aiutare ad acquisire, attraverso un percorso ad hoc, prospettive, opportunità, ricchezza e crescita che rimangono anche al termine del percorso.

Ma quanto bene funziona?

Certo, non è semplice misurare e quantificare in modo preciso i risultati che si ottengono da un percorso di coaching.

A questo proposito, ho apprezzato un recente articolo pubblicato su Harvard Business Review, dal titolo “Executive coaches, your job is to deliver results”.

In particolare, l’autore pone l’enfasi su un aspetto che non è sempre affrontato in modo adeguato nei percorsi di coaching: la generazione di risultati.

Per capire l’efficacia del coaching normalmente si fanno valutazioni a posteriori, ad esempio con indagini (più o meno strutturate) relative a quanto “è stato bene” il cliente, al livello di coinvolgimento. Oppure all’efficacia di quanto si è “appreso”, a valutazioni tipo “se ne è valsa la pena” e così via. Non è detto e non è chiaro se e come queste valutazioni sono legate ad effettivi miglioramenti nei risultati di business.

L’ipotesi alla base di queste valutazioni è che se, grazie al percorso di coaching, un cliente si comporta in modo differente su certe aree professionali, allora i risultati necessariamente seguono. In realtà, non sappiamo se è così.

Nelle aziende, ad esempio, spesso si avviano percorsi di coaching focalizzati a generare cambiamenti su aree, la cui importanza era emersa nell’ambito delle valutazioni annuali. Si avvia dunque il percorso e si mantiene l’ipotesi che in questo modo i risultati miglioreranno.

L’importanza del contesto

Tuttavia, ciò che spesso manca è una contestualizzazione del percorso di coaching rispetto alle specifiche situazioni di business, che si desidera migliorare. Il coach rischia di divenire un generico supporto al cliente, senza però un preciso orientamento verso efficacia e risultati del percorso medesimo.

Eppure, dare il giusto peso ai risultati è particolarmente critico oggi. I mercati sono in cambiamento, esiste incertezza come mai prima. E ciò rende ancora più delicato ciò che ci si aspetta o che ci si può aspettare dal coaching. Non è sufficiente l’attenzione ai comportamenti, ma è necessario avere attenzione anche a ciò che viene conseguito attraverso di essi.

Il caso dello smart working

Se ad esempio consideriamo la diffusione dello smart working, sappiamo che è un tema che richiede adattamento di comportamenti e mindset. Richiede un mindset più basato su autonomia e responsabilizzazione, anche in ruoli tradizionalmente maggiormente soggetti a controllo.

Il passaggio improvviso a logiche di smart working ha creato spesso una difficoltà nelle persone ad acquisire un mindset appropriato. In effetti, molti si sono trovati si sono trovati spaesati e non riuscivano a gestire questo cambiamento.

Il coaching sembra essere un modo quanto mai importante per aiutare a gestire il cambio della mentalità. Il coaching può essere un ponte in grado di collegare le modalità di lavorare tradizionali e quelle emergenti.

Obiettivi e indicatori

Per definire nel modo più preciso possibile i benefici derivanti dal coaching è utile partire dai motivi per cui un cliente decide di ricorrere ad un coach.

E qui ci si può trovare di fronte a situazioni molto varie.

coaching e risultati di business

In certi casi, la misurazione è relativamente semplice.

Se, ad esempio, l’obiettivo è relativo a come svolgere una certa attività, è abbastanza semplice misurare se l’attività è stata svolta in maniera più efficace.

Basti pensare al caso in cui l’obiettivo è diventare più organizzati nello svolgere un certo lavoro.

Si potrebbe stabilire un indicatore che aiuti a monitorare le volte in cui ciò avviene. E, di conseguenza, costruire un metodo per quantificare il vantaggio ottenuto: maggiore produttività, migliore gestione migliore del tempo e così via.

Non sempre però, e forse si tratta della maggioranza dei casi, la relazione tra il comportamento e il risultato è immediata.

Non vi è dubbio infatti che una sfida rilevante del mondo del coaching è rappresentato dalla relazione tra risultati e cambiamenti nella mentalità che spesso sono all’origine di azioni e risultati. Bisognerebbe infatti essere nelle condizioni di misurare gli aspetti intangibili quali appunto il mindset.

Obiettivi, coaching e risultati

Misurare queste variabili non è sempre facile, è comunque importante lavorare approfonditamente su questi aspetti nella fase iniziale di un percorso di coaching.

In questo modo è anche possibile circoscrivere con chiarezza le aspettative sulle performance. Inoltre, questo aumenta, a parità di condizioni, l’efficacia del percorso di coaching.

Ad esempio, il coaching può essere orientato a garantire che il manager sia più efficace nel gestire le priorità aziendali. In tal modo, la valutazione del coaching diventa più di un semplice metro di misura: diventa un approccio chiave per approfondire il valore aziendale del coaching.

Alcune possibilità

Consideriamo il caso di un manager di un’azienda, che avvia un percorso di coaching. In questo caso è utile seguire i seguenti passi:

  1. Stabilire obiettivi per il percorso (e per la sessione di coaching) che siano specifici, misurabili, realizzabili, realistici e calati nel tempo (faccio qui riferimento agli obiettivi cosiddetti SMART). Ma non basta, questo tipo di obiettivi deve essere collegato a obiettivi che facciano da ispirazione, che sostengano il senso e lo scopo dell’attività professionale svolta
  2. Fare in modo che gli obiettivi di coaching derivino dagli obiettivi generali dell’azienda e / o dagli obiettivi di business
  3. Definire un modo in cui si desidera quantificare il ritorno derivante dal programma di coaching. A questo scopo, è utile anche considerare il costo opportunità del tempo del cliente e gli aspetti “intangibili” del valore creato
  4. Stabilire dei momenti di valutazione e verifica lungo il percorso di coaching
  5. Al termine del percorso, trovare una modalità idonea per dare evidenza dei risultati del programma di coaching.

Nel caso di aziende o di realtà professionali o imprenditoriali più piccole si possono creare indicatori basati su strumenti quali:

  • indagini di clima interne all’organizzazione
  • impatto sulle metriche adottate nei sistemi di performance management già definiti
  • indagini sui clienti.

In altri casi, può essere utile definire alcuni indicatori, che si considerano più direttamente collegati ai cambiamenti nel mindset o nel modo in cui si affrontano le situazioni. Basti pensare a miglioramenti nella produttività o riduzione dei lead time di alcuni processi aziendali rilevanti.

Si tratta di indicatori che in molti casi possono essere valorizzati economicamente e pertanto rappresentare la base per il calcolo di un ROI. In altre parole, si tratta di indicatori collegabili ad un percorso di coaching.

Risultati e comportamenti

Ciò che emerge è comunque l’importanza di partire dai risultati che si desidera conseguire e poi focalizzarsi sui comportamenti necessari per conseguirli. Spesso invece avviene il contrario: si parte dai comportamenti desiderati e poi si incrociano le dita sperando che arrivino determinati risultati.

Sebbene questo approccio al coaching sembri del tutto “normale”, non è così scontato. Questo perché esiste una generale difficoltà alla responsabilizzazione per i risultati prodotti.

L’importanza dei risultati misurabili non deve tuttavia diventare prevaricante.

La ricerca di risultati a tutti i costi potrebbe trasformarsi in una vera e propria trappola. Si rischia di avviare un circolo vizioso, una dinamica in cui si cerca di fare di più ma con modalità ripetitive, che generano maggiore stress, senza un’efficacia realmente e profondamente migliore.

Risultati misurabili sì, ma con con il giusto equilibrio di ciò che questo significa e comporta.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Sviluppo

Dic 09 2020

Incoraggia la creatività!

Non si diventa creativi per caso. E assumere persone considerate “creative” sembra non essere la soluzione per ottenere maggiore creatività in azienda o in altro contesto professionale.

È fondamentale invece incoraggiare innanzitutto la creatività di chi è già nel tuo team.

Queste sono alcune delle considerazioni contenute in un articolo pubblicato qualche tempo fa su Harvard Business Review, dal titolo “Set the Conditions for Anyone on Your Team to Be Creative”.

Un messaggio fondamentale contenuto in questo articolo è il fatto che il segreto per migliorare la creatività non è cercare persone più creative, ma sbloccare maggiore creatività da parte di coloro che già lavorano per te.

Allo stesso modo, si ribadisce il fatto che non è possibile identificare in modo preciso un profilo di personalità creativa.

creatività
immagine creatività che fluisce

L’autore inoltre indica alcuni aspetti che possono facilitare lo sviluppo della creatività. Ecco quali sono.

Expertise

Un primo aspetto è rappresentato dall’importanza dell’expertise. Per essere creativi, è importante essere esperti nel proprio campo. In efetti, l’esperienza aiuta a identificare i problemi importanti e allo stesso tempo ciò che può rappresentare una possibile soluzione.

Sperimentazione

Pur essendo necessaria per una vera creatività, l’expertise non è sufficiente.

Un secondo elemento è infatti rappresentato di fornire alle persone delle opportunità, dei momenti, delle occasioni di sperimentazione su territori non “ordinari”.

Quanto volte è accaduto o accade che un’intuizione di grande valore provenga da un “dominio” differente da quello originale? Ci sono aziende che creano appositamente momenti di questo tipo, quale Google, con la sua regola del “20% del tempo”: i suoi dipendenti possono dedicare il 20% del loro tempo ad esplorare nuove idee, al di fuori della loro job description formale.

Tecnologie

Un aspetto che gioca un ruolo a volte trascurato nel processo di innovazione è rappresentato dalla tecnologie. In particolare, non si tiene sufficientemente conto di quanto la tecnologia può rafforzare la produttività.

La tecnologia rende infatti più semplice applicare i due princìpi precedenti e libera anche tempo che può consentire maggiore sperimentazione.

Persistenza

È necessario infine avere la necessaria perseveranza. Troppo spesso si crede che la creatività sia il frutto di una scintilla iniziale, seguita da un periodo di esecuzione. Ma ciò non è vero: accade troppo spesso che alcune idee che non sembrano subito delle vere e proprie “promesse” vengono eliminate prematuramente.

Allenarsi!

Affinché questi princìpi trovino adeguata applicazione è necessario allenarsi.

Le aziende invece si aspettano che le loro “creature” siano meravigliosi sin dalla nascita. Troppo spesso ed erroneamente si considera la creazione come un singolo (e fortuito) eventi piuttosto che un processo e pertanto non si investe in sperimentazione, si rifiuta a priori il valore dell’errore.

Come indicato altrove, è essenziale affrontare il tema della creatività in maniera sistematica, creando i necessari presupposti di mindset, di attitudine e responsabilizzazione.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Sviluppo

Nov 29 2020

Reskilling delle competenze, retraining e agilità professionale

Quando è importante anche il modo in cui si affrontano i cambiamenti

Il reskilling delle competenze è un tema molto attuale, la cui importanza è aumentata nei difficili mercati di oggi. Acquisire nuove competenze aiuta ad andare meglio incontro ai cambiamenti irreversibili in atto.  Ma non basta apprendere nuove competenze. È necessario anche dotarsi di un mindset, di una mentalità sempre più agile, dinamica. Una mentalità che aiuti a utilizzare pienamente le nuove competenze in contesti mutevoli. Una mentalità in grado di favorire un apprendimento continuo. Una mentalità che aiuti a muoversi costruttivamente nelle situazioni nuove che si incontrano e che richiedono risposte sempre nuove. Questa mentalità è particolarmente importante poiché oggi anche le competenze nuove diventano facilmente obsolete.

Chi non ha sentito parlare di reskilling delle competenze?

Reskilling è normalmente inteso come “insegnare a una persona nuove competenze in modo che possa fare un nuovo lavoro” o ricoprire altre posizioni all’interno di una organizzazione.

È una delle mode del momento. E non è un caso. Molti parlano di “reskilling”, “upskilling” (focalizzato sull’aiutare le persone ad acquisire competenze più rilevanti nella loro attuale posizione) “retraining” e chi più ne ha più ne metta. A volte sembra che il reskilling salverà le aziende e i professionisti dalle difficoltà dei mercati e dall’incertezza attuale.

Importanza del reskilling: una ricerca interessante

In una ricerca di McKinsey appena pubblicata, molti leader affermano che la situazione pandemica li ha spinti a rivedere con urgenza i loro programmi di formazione. E tuttavia questi ultimi non sono (ancora) all’altezza delle promesse e delle aspettative: molto si può fare per migliorarli.

L’articolo evidenzia che, durante il periodo pandemico, la percentuale degli intervistati che ritiene fondamentale rafforzare le competenze disponibili in azienda è passata dal 59% al 78%. Inoltre, i rispondenti ritengono che l’approccio ottimale per coprire i gap di competenze esistenti sia proprio il “reskilling”, rispetto alla possibile alternativa di sostituire i dipendenti con persone nuove, che già hanno le competenze ricercate.

Dall’inizio della pandemia, il 41% dei rispondenti dichiara di dedicare più tempo all’apprendimento, mentre il 35% dei rispondenti ha evidenziato di aver aumentato gli investimenti con lo scopo di costruire nuove capacità.

Sembra che la situazione di mercato abbia spinto le persone ad essere più attente al proprio percorso professionale, alle competenze che può mettere in campo.

reskilling

Le competenze sono importanti ma attenzione: quanto sono durevoli?

Ma quanto valore hanno poi queste competenze?

Se da un lato, infatti, competenze nuove o “rinfrescate” consentono di affrontare meglio alcuni compiti, attività o ruoli, dall’altro si pone il tema di quanto durano davvero quelle competenze.

In altre parole, non è chiaro per quanto tempo quelle competenze saranno importanti.

Un contesto di mercato, variabile, altamente incerto rende incerta anche la durevolezza di queste competenze.

Siamo sicuri che fare “reskilling” sia il modo migliore per affrontare l’incertezza? Siamo certi che quanto si apprende oggi servirà anche in futuro?

La risposta a questa domande è anch’essa incerta ma non rende meno rilevante il reskilling.

Fattori che spingono al cambiamento di lavori e competenze

Se diamo uno sguardo al Jobs Report 2018 del World Economic Forum, notiamo che, nelle 20 maggiori economie mondiali, 75 milioni di lavori verranno eliminati dalle tecnologie emergenti. Questo non significa che le persone verranno espulse dal mercato del lavoro. Lo stesso report dice infatti che, sempre grazie alle tecnologie, verranno creati 133 milioni di nuovi ruoli.

La crescente automazione dei lavori e la diffusione dell’Intelligenza Artificiale sono temi che rendono sempre più importante il reskilling delle competenze e la nascita di nuove tipologie di lavori. Si tratta di lavori in parte complementari a quelli esistenti e in parte completamente nuovi.

Ma questo non è l’unico punto.

Bisogna considerare altri fattori all’origine di questo fabbisogno e che rendono il reskilling indispensabile nelle organizzazioni. Mi riferisco alla crescente concorrenza.

È necessario rendere sempre più chiara, distinta e rilevante la propria proposizione di valore, la propria offerta.

Mi riferisco anche alle frequenti crisi di mercato, accentuate dalla situazione pandemica, che richiamano l’importanza di pensare velocemente e agire ancora più velocemente.

Perché ciò sia possibile, è necessario realizzare formazione e training in maniera massiccia. Questo aiuterà le aziende a “brillare” sul mercato, grazie al fatto di riuscire a mantenere o costruire una proposizione di valore forte e coerente. E ciò può avvenire con una forza lavoro agile, creativa, adattabile, in grado di perfezionare continuamente le proprie competenze.

Il reskilling è un approccio continuativo e va incoraggiato

Un primo passo per andare verso un efficace reskilling è di identificare i gap tra ciò di cui l’azienda ha bisogno e le competenze effettivamente disponibili.

È necessario poi fornire ai dipendenti indicazioni chiare e personalizzate, nonché un piano concreto di azioni di supporto, per consentire loro di apprendere facilmente le competenze di cui hanno bisogno.

Tuttavia, un piano o un approccio di reskilling delle competenze va costruito in modo da divenire una pratica continuativa, proprio per le incertezze che dicevamo. E se le persone non vengono stimolate a sufficienza e incoraggiate a cercare opportunità per apprendere e crescere, neppure l’azienda sarà in grado di farlo.

L’importanza della giusta mentalità e dell’adattamento

Il reskilling normalmente non è un processo di breve durata e tuttavia è probabilmente indispensabile. Abbiamo anche visto che le competenze possono divenire facilmente obsolete.

Anche per questo motivo, è importante che a questo processo si affianchi un percorso più ampio di supporto all’adozione di una mentalità sempre più agile e in grado di affrontare con crescente efficacia le quotidiane sfide professionali. Che sono sempre nuove. E che richiedono risposte sempre nuove.

Senza la flessibilità e l’agilità, il rischio è che un percorso di reskilling rimanga confinato alla replica di un approccio che, seppur amplia le capacità del singolo, non esplora fino in fondo il contributo che questi è potenzialmente in grado di apportare alle situazioni professionali sempre più complesse.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Competenze, Sviluppo

Mag 25 2020

Realizzare lo Smart Working e il lavoro agile con le potenzialità individuali

Lavorare in smart working, o lavoro agile, a volte è una necessità (come in questa fase economica di emergenza), altre volte è un requisito di grande valore per le aziende. Ma come realizzare uno smart working efficace?

Per mettere in pratica lo smart working diventa fondamentale gestire un vero cambiamento culturale in collaboratori, manager e dipendenti. Realizzare bene lo smart working richiede una crescita della responsabilizzazione e della consapevolezza di chi lavora in azienda, facendo leva sulle potenzialità individuali.

L’agilità di piccole e grandi aziende sembra oggi essere una qualità fondamentale per competere efficacemente. Spesso, anche a causa delle emergenze che stiamo vivendo, è un requisito per continuare a operare in mercati altamente incerti.

I modelli organizzativi cambiano e si adeguano ai tempi

Prendiamo una ricerca realizzata dall’Osservatorio sull’Innovation Practice del Politecnico di Milano e pubblicata su Il Sole 24 Ore in data 20 maggio 2020 (articolo dal titolo “La vera sfida è trasformare il lavoro da remoto a smart”). La ricerca riporta che il 64% delle aziende ritiene la realizzazione dello smart working come la principale sfida delle aziende nel prossimo futuro (nell’ambito risorse umane).

Cos’è lo smart working

È importante innanzitutto ricordare che lo smart working non è (soltanto) lavoro da casa.

“Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici” (Guida allo Smart Working, Osservatorio Politecnico di Milano).

smart working

Lo smart working prevede la possibilità per collaboratori e dipendenti di avere maggiore autonomia su vari fronti. Tra questi ultimi vi sono come organizzare il proprio lavoro e dove lavorare (eventualmente anche da casa), grazie ad alcune condizioni “abilitanti” (ad esempio le tecnologie).

Le aziende e i relativi responsabili definiranno lo scopo e gli obiettivi da raggiungere.

Importanza degli obiettivi nello smart working

In una logica di smart working viene assegnata maggiore importanza all’obiettivo concordato tra azienda e collaboratore rispetto ad altre modalità di organizzazione. Minore importanza viene invece data al controllo, che normalmente avviene quando si lavora regolarmente nel medesimo ufficio o struttura.

In “smart working”, il lavoratore può organizzarsi per lavorare da casa, in ufficio o altrove, in autonomia, concordando con l’azienda gli obiettivi di raggiungere.

Questa modalità crea maggiore agilità per le aziende. Crea anche risultati migliori (almeno sulla carta). Allo stesso tempo crea maggiore flessibilità con variabilizzazione dei costi (basti pensare ai costi degli uffici).

È più agile un’azienda che può contare sul fatto che i propri collaboratori perseguiranno con ampia autonomia gli obiettivi assegnati. Così un’azienda riesce a rispondere più prontamente ai cambiamenti, in quanto le persone, guidate dagli obiettivi, hanno maggiore capacità di adattare le proprie attività alle esigenze

Alcune difficoltà di realizzazione

Esistono alcune criticità di cui bisogna tenere conto quando si decide di realizzare un’organizzazione del lavoro “smart” (o quando si è costretti, come nei casi di emergenza, ad adottare forme prolungate di lavoro da casa). Queste difficoltà possono compromettere l’efficacia di questo modo di lavorare.

Secondo la ricerca sopra menzionata, la principale difficoltà emersa è quella di passare “da un approccio gerarchico a team” (il 55% delle aziende). A questo si aggiunge “la resistenza culturale” (il 27% delle aziende). Si tratta di difficoltà che esistono ai vari livelli di un’azienda.

Perché esistono queste difficoltà? Dove originano queste difficoltà? Cos’è possibile fare per superarle? Vediamo alcuni aspetti.

La “comfort zone” degli individui nelle organizzazioni

Una prima area che influisce sulla disponibilità ad adottare un approccio di smart working è rappresentato dalla “comfort zone”.

Le modalità di lavoro consolidate e diffuse (per intenderci quelle esistenti prima dell’adozione dello smart working) sono una sorta di comfort zone.

Passare ad un approccio di lavoro agile richiede di andare oltre quest’area confortevole.

Come semplice esempio, prendiamo l’abitudine di andare in ufficio ad una certa ora, di fare un certo percorso, incontrare alcune persone nel tragitto.

Anche decidere di cambiare di poco questa piccola abitudine può richiedere lo sforzo di andare oltre il senso di comfort, generato dalla ripetitività delle abitudini. E può non essere semplice per le aziende, manager, professionisti, collaboratori.

Alcune abitudini sono poi considerate quasi impossibili da modificare anche se, ad un livello “razionale” sono palesemente migliorative.

Questa difficoltà di cambiamento rappresenta un freno alla crescita, che a volta si ritrova nella frase “abbiamo fatto sempre così”.

La “convenienza” della comfort zone è così rilevante che, nel difenderla, si possono perdere di vista i vantaggi di uscirne. I vantaggi spesso riguardano sia la qualità del proprio lavoro che i risultati dell’azienda o del gruppo professionale al quale si appartiene.

Nello smart working bisogna uscire dalla propria zona di comfort, adottare modi di lavorare non usuali. Tutto questo, se lo smart working è realizzato correttamente, potrà avere un impatto favorevole sui risultati aziendali.

Evoluzione della “gerarchia”

Con riferimento all’aspetto gerarchia, bisogna innanzitutto considerare che il tema in discussione (in ambito smart working) non è in sé e per sé l’abbandono tout court della gerarchia. Il passaggio a modalità di lavoro “agili” non significa mettere da parte la gerarchia. Esistono delle responsabilità di risultato, che richiedono la differenziazione gerarchica a vari livelli, soprattutto al crescere della dimensione aziendale.

Il lavoro agile cambia però il modo in cui si intende la gerarchia.

Tipicamente la gerarchizzazione è stata basata sulla scomposizione delle attività aziendali o di gruppo in attività sempre più piccole. La figura del “responsabile”, sintesi di queste attività, in qualche modo assicura lo svolgimento di queste attività.

Quando parliamo di lavoro agile, l’attenzione si sposta sugli obiettivi, aspetto chiave dello smart working. In quest’ultimo caso, il ruolo della gerarchia consente di presidiare obiettivi a diversi livelli. Il focus dei team e degli individui diventa gestire obiettivi “micro”, che nascono dalla declinazione degli obiettivi aziendali in diverse aree di competenza e gruppi funzionali.

Gerarchia e leadership

L’argomento “gerarchia” richiama quello della leadership, che gioca un ruolo essenziale in gruppi complessi, nel lavoro a distanza e nei cambiamenti organizzativi. La leadership agisce su aspetti motivazionali, che influenzano il modo in cui le persone lavorano, la capacità di adattamento e i risultati ottenuti. Lavorare a distanza, e secondo modalità di smart working, rende critica la chiarezza degli obiettivi (qualità di leadership) e il modo in cui si viene ispirati a conseguirli.

In questo senso la gerarchia/ leadership diviene un collante fondamentale che, anche con persone che lavorano in luoghi diversi o che si auto-organizzano, consente di mantenere una direzione unitaria. Inoltre il ruolo gerarchico/ leadership diventa essenziale per gestire eventuali prestazioni al di sotto delle aspettative.

E su questo aspetto i manager dedicano una parte importante del tempo. Ad esempio, da alcune ricerche è emerso che il 17% del tempo (di fatto, un giorno a settimana) di un manager è dedicato a gestire i risultati deludenti di una o più persone del proprio team.

Le logiche di smart working possono accentuare questa percentuale, per le criticità di adattamento descritte prima. Pertanto in smart working diventano più critiche le abilità di leadership, in quanto le possibilità di un lavoro al di sotto delle aspettative possono aumentare significativamente, a parità di condizioni.

Leadership e mentalità

Il tema importante, nel percorso di adozione dello smart working, è il passaggio ad una dinamica gerarchica basata su principi di leadership autentica, in cui compito chiave del leader è aiutare le persone a contribuire al meglio. È un tema di performance e di soddisfazione.

Per funzionare, lo smart working richiede pertanto:

  • una leadership chiara, evoluzione della più tradizionale gerarchia
  • persone con la mentalità, il mindset adatto, basato su un’elevata flessibilità. È utile che le persone siano progressivamente formate ad adottare logiche di lavoro agili. Richiede inoltre che le persone siano messe nelle condizioni di esprimere al meglio le proprie unicità, competenze e caratteristiche in queste condizioni. Con un percorso adatto, ogni individuo diventa così un soggetto chiave, un soggetto il cui valore non è realizzare attività più o meno di routine, ma portatore di una potenzialità che si esprime nel percorso di raggiungimento di un obiettivo.

Lo smart working non è solo un’evoluzione

Indipendentemente dalla misura in cui si intende adottare lo smart working come approccio al lavoro nella propria azienda, è importante evitare di focalizzarsi solo sugli strumenti digitali o sulla tipologia di uffici utilizzati o su scelte organizzative studiate “sulla carta”. È importante partire e rendere centrale il “fattore umano”, partire dal persone.

Le persone potrebbero infatti trovarsi improvvisamente a lavorare in modi a cui non sono abituate e per le quali non sono preparate. Non è un caso che vi siano resistenze.

In effetti, lo smart working non è solo un’evoluzione del modo di lavorare. È una modalità di lavoro completamente differente. È un salto, che richiede alle persone di adottare approcci e mindset idonei e coerenti.

Collaboratore, manager, professionista hanno le potenzialità per poter adottare logiche di smart working  influenzando positivamente i risultati aziendali. È utile che queste potenzialità vengano coltivate e rese progressivamente “concrete” attraverso un lavoro di preparazione.

Non si tratta solo di formazione, ma di un’“esperienza accelerata” di apprendimento.

Un paradigma nuovo e due parole chiave

Passare o rafforzare un paradigma di lavoro agile richiede di intervenire su due variabili fondamentali per il manager, il professionista o il collaboratore: responsabilità e consapevolezza.

Responsabilità

Con riferimento al tema “responsabilità” diventa fondamentale che le persone lavorino sull’acquisizione di maggiore responsabilità.

Nel lavoro agile, da un lato abbiamo la riduzione del controllo tradizionale grazie ad una maggiore fiducia (dal lato dell’azienda), dall’altro il lavoratore dovrà avere maggiore responsabilità, relativa ai propri obiettivi.

Lavorare per obiettivi richiede maggiore responsabilità.

La gestione di maggiore responsabilità è di fatto una competenza che si può allenare, ma che non si acquisisce da un giorno all’altro, per il semplice fatto di dichiarare che “da domani” si adotta lo smart working.

Consapevolezza

Il tema della consapevolezza è altrettanto decisivo. Ad esempio, è importante aumentare la consapevolezza sul ruolo del proprio lavoro, su cosa significa il proprio lavoro, su quale impatto hanno le proprie attività sul sistema aziendale o sul “sistema” di clienti, prospect, partner con cui normalmente si interagisce.

L’area della consapevolezza è particolarmente importante poiché spesso le azioni e le abitudini messe in campo dal professionista sono diventate così consolidate da perdere di vista il “perché” esistono certe abitudini. Pertanto ogni cambiamento che si rende necessario in certe situazioni può trasformarsi in un ostacolo quasi insormontabile.

L’importanza delle potenzialità individuali nello smart working

Sia il tema della responsabilità che della consapevolezza sono fondamentali in un percorso di coaching efficace, che diventa pertanto uno strumento ottimale per accompagnare le persone verso la realizzazione positiva dello smart working.

In effetti responsabilità e consapevolezza sono aspetti che consentono all’individuo di esprimere meglio le proprie potenzialità individuali, che sono alla base di uno smart working di successo.

Un coach, grazie a metodi adatti, può aiutare il cliente a identificare le aree in cui avverte maggiormente la differenza tra i propri comportamenti abituali e ciò che è necessario nella nuova situazione, per poter essere efficaci.

Il coach può inoltre aiutare a mettere in atto comportamenti nati da un nuovo “equilibrio” tra queste nuove azioni, da un lato, e l’autenticità dall’altro.

Può anche aiutare a perseverare quando ci sono delle fasi più complicate, ad esempio quando si prova ad uscire dalla propria comfort zone. E questo, molto probabilmente, prima o poi accadrà.

Ogni cambiamento, incluso quello verso lo smart working, richiede impegno, determinazione e un percorso progettato. Ma è un cambiamento conseguibile con efficacia, soprattutto con gli strumenti di supporto adatti.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Leadership, Sviluppo

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