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Feb 17 2021

Innovare e creare un nuovo segmento di mercato. Il caso Honda X-ADV

Questo articolo è una case history nata da un’intervista a Daniele Lucchesi, manager di R&D Europe di Honda e “papà” di Honda X-ADV, moto rivoluzionaria, definita “il primo SUV a due ruote”.

La presentazione dell’aggiornamento 2021 della Honda X-ADV è l’occasione per pubblicare questo articolo.

Honda Motorcycles è considerata una delle aziende di maggior successo, qualità e capacità di innovazione al mondo nel mercato delle due ruote.

Per diversi anni, l’azienda aveva cercato di introdurre un prodotto innovativo in questo settore, in grado di soddisfare un nuovo bisogno. Diversi tentativi erano andati a vuoto, riducendo la percezione da parte dei clienti di essere “azienda innovativa”. Nonostante le ricerche e le analisi dei dati, l’azienda non era riuscita a proporre qualcosa che rispondesse a bisogni concreti del cliente. E che fosse anche numericamente rilevante.

Tutto questo finché un manager di Honda R&D Europe, Daniele Lucchesi, si è imbattuto in un’avventura personale “problematica”. Daniele ha trasformato questa avventura in un’opportunità e in un prodotto di successo a livello mondiale, con passione, competenza, determinazione e ispirandosi al desiderio di “espandere la gioia del cliente”.

È nata così la Honda X-ADV, un modello che sfugge a categorie pre-esistenti e che ha creato un nuovo segmento, che possiamo per semplicità definire uno scooter “adventure”. Un prodotto-segmento che si è rivelato subito appetibile se, ad esempio, consideriamo i dati di vendita, l’impatto sulla percezione della marca e i nuovi concetti che la concorrenza ha introdotto successivamente.

Honda X-ADV 2021
2021 HONDA X-ADV

L’importanza di creare nuovi prodotti

Creare nuovi prodotti di successo, soprattutto creare nuovi mercati, è un’ambizione di molte aziende. Rappresenta una sfida che, se colta con successo, è in grado di far uscire dagli ambiti competitivi ristretti in cui nella maggioranza dei casi operano le aziende.

Non è un caso che l’innovazione sia un driver decisivo nei mercati attuali e che le aziende considerino l’innovazione una condizione indispensabile in mercati sempre più competitivi, esigenti, imprevedibili e incerti.

Il lancio di Honda X-ADV, le cui vendite sono cominciate ad inizio 2017, rappresenta un caso interessante in termini di percorso di innovazione. È interessante anche per l’approccio alla situazione, per le attitudini e per le modalità, dal concepimento al lancio, ai risultati.

È sempre difficile, se non impossibile, definire una relazione causa-effetto tra caratteristiche di un processo di innovazione e successo di mercato.

Ci sono alcuni aspetti di processo che, nel caso di Honda X-ADV, sembra abbiano favorito il conseguimento di un risultato al di là delle aspettative.

Honda X-ADV è in effetti una case history che offre spunti di riflessione sul modo in cui sviluppare nuovi prodotti. È una riflessione sull’importanza che il processo, nelle sue varie fasi, sia strutturato e allo stesso tempo sia guidato da un’attitudine basata sull’immaginazione, sull’esplorazione delle possibilità, sia nella generazione del problema che delle soluzioni.

Un’orientamento alla capacità di integrare diversi punti di vista, di non giungere immediatamente a conclusioni. Questa attitudine può condurre alla creazione di un segmento completamente nuovo, fino al rilancio del settore di appartenenza e alla scoperta che, a volte, “la saturazione del mercato è un concetto falso, generato da un certo modo di vedere le cose.”

Si tratta di un processo con alcuni requisiti in termini di sequenza e in termini di rapporto tra chi si approccia all’innovazione e la situazione o il problema che si intende affrontare.

In particolare, alcuni aspetti hanno caratterizzato il percorso di innovazione che ha portato alla nascita di Honda X-ADV:

  • chiarezza sul futuro che si immagina
  • desiderio, entusiasmo e passione nel volerlo costruire
  • strutturazione e sistematicità del processo di innovazione e sviluppo
  • attenzione (a) e centralità del cliente
  • curiosità e capacità di “vedere” contaminazioni tra prodotti e categorie differenti
  • ricerca di alternative e prospettive nuove
  • capacità di ascolto, apertura e disponibilità
  • attitudine e pratica di sperimentazione
  • orientamento al gioco, che riduce la tensione e favorisce il fatto di essere più intuitivi e più creativi
  • fiducia coniugata con un approccio solution-based e data-based
  • armonia del gruppo di lavoro che interviene nelle diverse fasi di lavoro.

Dal problema all’idea

Il percorso che ha portato alla Honda X-ADV è nato da una difficoltà tecnica nel corso delle vacanze estive di Daniele Lucchesi in Grecia del 2013. Nelle sue parole:

“Ad Agosto 2013 ero sull’isola greca IOS e ho affittato uno scooter: volevo raggiungere la spiaggia di Manganari, ma mi sono scontrato con la difficoltà di fare un certo percorso per giungere fino alla spiaggia. Avevamo il timore di rimanere bloccati e non riuscire a procedere oltre nel tragitto che avevamo scelto. In quel momento ho pensato: ‘se solo potessi avere uno scooter che mi consentisse di fare un po’ di fuoristrada. Adesso torno in ufficio e lo faccio’. C’è stata in me una parte di pazzia: da quella difficoltà volevo far nascere qualcosa su cui lavorare appena fossi rientrato in ufficio.

“In fondo avevo sempre desiderato lavorare su un’idea del genere. Io amo le moto, ma mi rendevo conto che in inverno una certa scomodità (ad esempio per la pioggia) mi impediva un utilizzo pieno e continuo del mezzo.”

La difficoltà incontrata su un’isola della Grecia ha rappresentato il punto di avvio per un percorso di sviluppo di successo, in grado di smontare la percezione che il mercato delle due ruote fosse saturo.

La “creazione” del problema

“Non ho dato risposta ad un problema, ma ho creato un problema, ho trovato un nuovo problema a cui dare una nuova risposta.

A me piacciono molto i numeri, analizzarli e mettere insieme diversi segmenti.

A questo proposito, il prodotto T-Max, lanciato da Yamaha con successo molti anni prima, era riuscito a coniugare lo scooter con il “super-sportivo”, offrendo agli scooteristi la possibilità di fare esperienza sportiva. È un prodotto che ha dato a persone che venivano dagli scooter, e che non volevano l’impegno che una moto comporta, la possibilità di godersi la sportività.

L’inizio del percorso e l’assegnazione di un budget dedicato

“I giapponesi ti danno sempre la possibilità di sperimentare con progetti che nascono da proposte locali. Ogni anno c’è spazio per un paio di progetti sperimentali, che rappresentano il nostro modo “locale” di vedere o interpretare alcuni fenomeni.

“Non è semplice iniziare a lavorare su un progetto di questo tipo. La casa madre riceve ogni anno proposte da tutti i centri design Honda del mondo: ad esempio Thailandia e Vietnam. Quando il mio progetto è stato portato in Giappone, si è scontrato con tanti altri progetti. Inoltre, quell’anno non avevamo neanche l’obiettivo di lavorare sugli scooter.”

“Ho presentato l’idea in azienda, ma non era immediatamente chiaro che cosa volessi realmente creare. Sono stati necessari circa cinque mesi di presentazione, per spiegare la mia idea di Adventure Scooter, adeguatamente sostenuta da dati di mercato.

“Ho iniziato a preparare alcune presentazioni e produrre dati, numeri a supporto. Ho anche introdotto esempi di altri settori (ad esempio quello degli orologi), per evidenziare come fosse possibile contaminare concetti esistenti e creare qualcosa di nuovo. Normalmente mi diverto e sono incuriosito da qualsiasi cosa e sulla possibilità di replicarla nel mio settore. Non era facile spiegare che il prodotto che avevo immaginato poteva essere un competitor di Yamaha T-MAX, e allo stesso tempo un prodotto completamente diverso. Utilizzando i dati di mercato, avevo dimostrato che in termini di segmenti di mercato, il cliente-tipo era simile a quello di T-MAX, pur essendo i modelli così diversi. Mi sembrava una situazione simile a quella di Vespa e Honda SH: stesso tipo di clienti, ma prodotti diversi. Non era facile neanche interloquire con le vendite, che, all’inizio, consideravano quel percorso ‘tempo perso’.

Dopo numerose volte in cui avevo presentato senza convincere l’azienda ho anche pensato di abbandonare il progetto.”

“Quando lavoravo sul prodotto lo contestualizzavo al problema (ad esempio pensavo che sarei arrivato fino in fondo alla spiaggia dell’isola greca), pensavo che probabilmente molti avevano avuto lo stesso problema e desideravo rendere felici molte persone. Tuttavia, attraverso le sole analisi numeriche non riuscivo a fare progressi. A quel punto, ho chiesto ai designer di generare delle forme visive. Io riuscivo a immaginare un prodotto e desideravo che anche i giapponesi potessero visualizzarlo, questo avrebbe potuto aiutare a sbloccare il processo.

Dopo aver lavorato da solo e presentato 7 o 8 volte ho coinvolto i designer e quello è stato un momento decisivo. A quel punto, dopo circa sei mesi dall’inizio del percorso, il Presidente di allora vide lo sketch e rispose che, pur non avendo ancora completamente chiara la direzione, intuiva che c’era un potenziale. Assegnò un budget al progetto e si passò così alla fase Yamagomori.”

Il momento dell’esplorazione e del lavoro di gruppo

“Venne allora organizzato uno Yamagomori (sketch concentration), nel quale vennero coinvolti 5 o 6 designer.

Nel corso di uno Yamagomori si tracciano le linee guida del progetto, tutti i designer lavorano insieme per una settimana in una location per produrre degli sketch. In quella settimana hanno lavorato tutti con molta armonia. Era tutto come un gioco in cui si può tentare e credo che questo sia un fattore molto importante, che incide sulla qualità del processo e dei risultati.”

Al termine della settimana, il responsabile del concetto, in questo caso Daniele, vede le diverse proposte sviluppate.

“I vari sketch proposti interpretavano il concetto in modo molto differente l’uno dall’altro. Questo è un aspetto positivo ed è importante evitare di dare una direzione troppo precisa ai designer, in modo da lasciare spazio a proposte e idee che il responsabile del concetto (in questo caso io) non aveva immaginato.”

Il rapporto con le proposte di design

“Normalmente si attua un confronto tra quanto è stato visualizzato e le aspettative che si hanno. Le aspettative possono rappresentare una difficoltà: ad esempio, io mi aspettavo qualcosa di leggero, agile (infatti, il mio desiderio era quello di dare a tutti accesso al mezzo), un mezzo più piccolo, agile e stretto.

L’ho guardato e ho detto ‘Non me l’aspettavo così, ma aspetto’. E andavo a guardarlo.

Un ostacolo alla creatività, inoltre, è rappresentato dalla tendenza a guardare subito il lato negativo delle proposte.

A quel punto mi sono preso del tempo per far ‘decantare’ le differenti proposte, senza arrivare subito a conclusioni. Dopo un po’, ho cominciato ad essere d’accordo sulla direzione che poi ha preso, che era differente da come l’avevo immaginata autonomamente.

Ad esempio, ho pensato che fosse molto moderno rispetto a quello che avevo immaginato io. Ho riconosciuto che avesse veramente doti off-road.

Ho visto il valore di un linguaggio che era in grado di esprimere un’idea nuova e allo stesso tempo familiare (quello dei SUV).

Si trattava di un linguaggio molto pulito e mi rendevo conto che quella moto mi avrebbe consentito di arrivare alla spiaggia di Manganari e allo stesso tempo sentirmi sicuro nel farlo.

A quel punto abbiamo fatto il modello in argilla, con l’aiuto del capo del design arrivato appositamente dal Giappone, che giudicò interessante lo sketch, e che a sua volte coinvolse un modellista di grande esperienza dal Giappone e che lavorò sul modello per un mese.”

HONDA X-ADV 2021 alla guida
21YM HONDA X-ADV

Il momento della svolta

“Il momento in cui mi sono accorto della svolta è stato quando, nell’Ottobre 2014, nel corso di una presentazione all’interno di un nostro evento delle vendite, ho presentato il progetto e il pubblico ha risposto con un applauso”.

Nel Novembre 2015 il modello in argilla è stato presentato a EICMA a Milano, e successivamente è partita la fase finale di progettazione e produzione, fino alla vendita cominciata a inizio 2017.

Il ruolo dell’esperienza e l’approccio con i dati

Un aspetto interessante in un percorso di innovazione è rappresentato dal ruolo dell’esperienza e dal rapporto con i dati disponibili.

“L’esperienza è importante nel senso di capire che non ne sai mai abbastanza ed emerge nel modo in cui coniughi quello che sai con quello che non sai.

Di fronte a dati che non tornano, che vanno contro il buon senso, contro l’esperienza, a volte pensi che i dati sono sbagliati, a volte invece è importante utilizzarli per ampliare le visioni, i punti di vista, non bisogna dare niente per scontato. È importante non accontentarsi di risposte superficiali ed avere scetticismo anche nei confronti delle proprie intuizioni.”

Interazione e “ascolto” nel gruppo

“Senza il gruppo non sarei andato da nessuna parte. Io ho messo il seme nella terra, ma prima di vedere il lavoro finale c’è un team, dove tutti hanno la stessa importanza.

È fondamentale l’armonia, lavorare con soddisfazione e felicità. Hai chiara la direzione, sai dove vuoi arrivare, ma ci puoi andare in modi differenti. Condividi con chiarezza il problema: la moto deve andare là, sulla ‘strada sterrata’.”

“All’interno del team, è fondamentale ascoltare tutti con mente libera. Non bisogna subito giudicare qualcosa, mettendola a confronto con quello che si sa già. È necessario ascoltare e farsi delle domande: ad esempio cercare di capire perché vengono fatti certi commenti.

Dalle persone che meno ti aspetti possono provenire spunti di grande importanza. E devi avere fiducia che ognuno farà la propria parte al meglio.”

Determinazione, passione e orientamento al cliente

“Chiunque può portare avanti un progetto e farlo diventare realtà. L’importante è desiderarlo con amore e riuscire a includere i commenti e le considerazioni degli altri. Da solo non vai da nessuna parte. Sono importanti le critiche e gli scetticismi, è importante ascoltare con attenzione e tenere conto anche di ciò che può sembrare negativo.

“Avevo un grande desiderio di fare qualcosa per la Honda, mi sono sentito responsabile per i clienti che sapevano che Honda è in grado di produrre prodotti innovativi.

Avevo il desiderio di fare qualcosa di bello per la Honda e per le persone, un progetto che non avesse niente di negativo per la Honda e per le persone.

Mi domandavo: questa cosa fa felice il cliente finale? E la risposta veniva in modo naturale.

Sono tutte cose che ho capito e appreso sperimentando.

Nonostante le grandi difficoltà, ciò che mi ha fatto andare avanti è stato il desiderio di essere fedele a questo progetto e un grande amore per questa azienda.”

Grazie Daniele.

photo credits: hondanews.eu

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching, Business Innovation · Tagged: Innovazione, Management Development, Pensiero Creativo

Dic 20 2020

Coaching e risultati migliori

Misurare i risultati generati da un percorso di coaching è importante, anche se non è sempre facile. È vero però che affrontare questo argomento come minimo migliora i risultati stessi e influenza positivamente il percorso per raggiungerli. E consente di diventare un professionista o una professionista migliore, più consapevole.

Credo ci siano pochi dubbi sul fatto che fare un percorso di coaching è un modo straordinario per migliorare le prestazioni.

Questo può riguardare il caso di un imprenditore che vuole dare una svolta al proprio business, o un manager di un’azienda multinazionale che vuole migliorare le performance delle sue valutazioni annuali. Ma anche un professionista che desidera avviare un’attività in proprio.

Insomma, il coaching può aiutare davvero a fare la differenza. Può aiutare ad acquisire, attraverso un percorso ad hoc, prospettive, opportunità, ricchezza e crescita che rimangono anche al termine del percorso.

Ma quanto bene funziona?

Certo, non è semplice misurare e quantificare in modo preciso i risultati che si ottengono da un percorso di coaching.

A questo proposito, ho apprezzato un recente articolo pubblicato su Harvard Business Review, dal titolo “Executive coaches, your job is to deliver results”.

In particolare, l’autore pone l’enfasi su un aspetto che non è sempre affrontato in modo adeguato nei percorsi di coaching: la generazione di risultati.

Per capire l’efficacia del coaching normalmente si fanno valutazioni a posteriori, ad esempio con indagini (più o meno strutturate) relative a quanto “è stato bene” il cliente, al livello di coinvolgimento. Oppure all’efficacia di quanto si è “appreso”, a valutazioni tipo “se ne è valsa la pena” e così via. Non è detto e non è chiaro se e come queste valutazioni sono legate ad effettivi miglioramenti nei risultati di business.

L’ipotesi alla base di queste valutazioni è che se, grazie al percorso di coaching, un cliente si comporta in modo differente su certe aree professionali, allora i risultati necessariamente seguono. In realtà, non sappiamo se è così.

Nelle aziende, ad esempio, spesso si avviano percorsi di coaching focalizzati a generare cambiamenti su aree, la cui importanza era emersa nell’ambito delle valutazioni annuali. Si avvia dunque il percorso e si mantiene l’ipotesi che in questo modo i risultati miglioreranno.

L’importanza del contesto

Tuttavia, ciò che spesso manca è una contestualizzazione del percorso di coaching rispetto alle specifiche situazioni di business, che si desidera migliorare. Il coach rischia di divenire un generico supporto al cliente, senza però un preciso orientamento verso efficacia e risultati del percorso medesimo.

Eppure, dare il giusto peso ai risultati è particolarmente critico oggi. I mercati sono in cambiamento, esiste incertezza come mai prima. E ciò rende ancora più delicato ciò che ci si aspetta o che ci si può aspettare dal coaching. Non è sufficiente l’attenzione ai comportamenti, ma è necessario avere attenzione anche a ciò che viene conseguito attraverso di essi.

Il caso dello smart working

Se ad esempio consideriamo la diffusione dello smart working, sappiamo che è un tema che richiede adattamento di comportamenti e mindset. Richiede un mindset più basato su autonomia e responsabilizzazione, anche in ruoli tradizionalmente maggiormente soggetti a controllo.

Il passaggio improvviso a logiche di smart working ha creato spesso una difficoltà nelle persone ad acquisire un mindset appropriato. In effetti, molti si sono trovati si sono trovati spaesati e non riuscivano a gestire questo cambiamento.

Il coaching sembra essere un modo quanto mai importante per aiutare a gestire il cambio della mentalità. Il coaching può essere un ponte in grado di collegare le modalità di lavorare tradizionali e quelle emergenti.

Obiettivi e indicatori

Per definire nel modo più preciso possibile i benefici derivanti dal coaching è utile partire dai motivi per cui un cliente decide di ricorrere ad un coach.

E qui ci si può trovare di fronte a situazioni molto varie.

coaching e risultati di business

In certi casi, la misurazione è relativamente semplice.

Se, ad esempio, l’obiettivo è relativo a come svolgere una certa attività, è abbastanza semplice misurare se l’attività è stata svolta in maniera più efficace.

Basti pensare al caso in cui l’obiettivo è diventare più organizzati nello svolgere un certo lavoro.

Si potrebbe stabilire un indicatore che aiuti a monitorare le volte in cui ciò avviene. E, di conseguenza, costruire un metodo per quantificare il vantaggio ottenuto: maggiore produttività, migliore gestione migliore del tempo e così via.

Non sempre però, e forse si tratta della maggioranza dei casi, la relazione tra il comportamento e il risultato è immediata.

Non vi è dubbio infatti che una sfida rilevante del mondo del coaching è rappresentato dalla relazione tra risultati e cambiamenti nella mentalità che spesso sono all’origine di azioni e risultati. Bisognerebbe infatti essere nelle condizioni di misurare gli aspetti intangibili quali appunto il mindset.

Obiettivi, coaching e risultati

Misurare queste variabili non è sempre facile, è comunque importante lavorare approfonditamente su questi aspetti nella fase iniziale di un percorso di coaching.

In questo modo è anche possibile circoscrivere con chiarezza le aspettative sulle performance. Inoltre, questo aumenta, a parità di condizioni, l’efficacia del percorso di coaching.

Ad esempio, il coaching può essere orientato a garantire che il manager sia più efficace nel gestire le priorità aziendali. In tal modo, la valutazione del coaching diventa più di un semplice metro di misura: diventa un approccio chiave per approfondire il valore aziendale del coaching.

Alcune possibilità

Consideriamo il caso di un manager di un’azienda, che avvia un percorso di coaching. In questo caso è utile seguire i seguenti passi:

  1. Stabilire obiettivi per il percorso (e per la sessione di coaching) che siano specifici, misurabili, realizzabili, realistici e calati nel tempo (faccio qui riferimento agli obiettivi cosiddetti SMART). Ma non basta, questo tipo di obiettivi deve essere collegato a obiettivi che facciano da ispirazione, che sostengano il senso e lo scopo dell’attività professionale svolta
  2. Fare in modo che gli obiettivi di coaching derivino dagli obiettivi generali dell’azienda e / o dagli obiettivi di business
  3. Definire un modo in cui si desidera quantificare il ritorno derivante dal programma di coaching. A questo scopo, è utile anche considerare il costo opportunità del tempo del cliente e gli aspetti “intangibili” del valore creato
  4. Stabilire dei momenti di valutazione e verifica lungo il percorso di coaching
  5. Al termine del percorso, trovare una modalità idonea per dare evidenza dei risultati del programma di coaching.

Nel caso di aziende o di realtà professionali o imprenditoriali più piccole si possono creare indicatori basati su strumenti quali:

  • indagini di clima interne all’organizzazione
  • impatto sulle metriche adottate nei sistemi di performance management già definiti
  • indagini sui clienti.

In altri casi, può essere utile definire alcuni indicatori, che si considerano più direttamente collegati ai cambiamenti nel mindset o nel modo in cui si affrontano le situazioni. Basti pensare a miglioramenti nella produttività o riduzione dei lead time di alcuni processi aziendali rilevanti.

Si tratta di indicatori che in molti casi possono essere valorizzati economicamente e pertanto rappresentare la base per il calcolo di un ROI. In altre parole, si tratta di indicatori collegabili ad un percorso di coaching.

Risultati e comportamenti

Ciò che emerge è comunque l’importanza di partire dai risultati che si desidera conseguire e poi focalizzarsi sui comportamenti necessari per conseguirli. Spesso invece avviene il contrario: si parte dai comportamenti desiderati e poi si incrociano le dita sperando che arrivino determinati risultati.

Sebbene questo approccio al coaching sembri del tutto “normale”, non è così scontato. Questo perché esiste una generale difficoltà alla responsabilizzazione per i risultati prodotti.

L’importanza dei risultati misurabili non deve tuttavia diventare prevaricante.

La ricerca di risultati a tutti i costi potrebbe trasformarsi in una vera e propria trappola. Si rischia di avviare un circolo vizioso, una dinamica in cui si cerca di fare di più ma con modalità ripetitive, che generano maggiore stress, senza un’efficacia realmente e profondamente migliore.

Risultati misurabili sì, ma con con il giusto equilibrio di ciò che questo significa e comporta.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Sviluppo

Dic 09 2020

Incoraggia la creatività!

Non si diventa creativi per caso. E assumere persone considerate “creative” sembra non essere la soluzione per ottenere maggiore creatività in azienda o in altro contesto professionale.

È fondamentale invece incoraggiare innanzitutto la creatività di chi è già nel tuo team.

Queste sono alcune delle considerazioni contenute in un articolo pubblicato qualche tempo fa su Harvard Business Review, dal titolo “Set the Conditions for Anyone on Your Team to Be Creative”.

Un messaggio fondamentale contenuto in questo articolo è il fatto che il segreto per migliorare la creatività non è cercare persone più creative, ma sbloccare maggiore creatività da parte di coloro che già lavorano per te.

Allo stesso modo, si ribadisce il fatto che non è possibile identificare in modo preciso un profilo di personalità creativa.

creatività
immagine creatività che fluisce

L’autore inoltre indica alcuni aspetti che possono facilitare lo sviluppo della creatività. Ecco quali sono.

Expertise

Un primo aspetto è rappresentato dall’importanza dell’expertise. Per essere creativi, è importante essere esperti nel proprio campo. In efetti, l’esperienza aiuta a identificare i problemi importanti e allo stesso tempo ciò che può rappresentare una possibile soluzione.

Sperimentazione

Pur essendo necessaria per una vera creatività, l’expertise non è sufficiente.

Un secondo elemento è infatti rappresentato di fornire alle persone delle opportunità, dei momenti, delle occasioni di sperimentazione su territori non “ordinari”.

Quanto volte è accaduto o accade che un’intuizione di grande valore provenga da un “dominio” differente da quello originale? Ci sono aziende che creano appositamente momenti di questo tipo, quale Google, con la sua regola del “20% del tempo”: i suoi dipendenti possono dedicare il 20% del loro tempo ad esplorare nuove idee, al di fuori della loro job description formale.

Tecnologie

Un aspetto che gioca un ruolo a volte trascurato nel processo di innovazione è rappresentato dalla tecnologie. In particolare, non si tiene sufficientemente conto di quanto la tecnologia può rafforzare la produttività.

La tecnologia rende infatti più semplice applicare i due princìpi precedenti e libera anche tempo che può consentire maggiore sperimentazione.

Persistenza

È necessario infine avere la necessaria perseveranza. Troppo spesso si crede che la creatività sia il frutto di una scintilla iniziale, seguita da un periodo di esecuzione. Ma ciò non è vero: accade troppo spesso che alcune idee che non sembrano subito delle vere e proprie “promesse” vengono eliminate prematuramente.

Allenarsi!

Affinché questi princìpi trovino adeguata applicazione è necessario allenarsi.

Le aziende invece si aspettano che le loro “creature” siano meravigliosi sin dalla nascita. Troppo spesso ed erroneamente si considera la creazione come un singolo (e fortuito) eventi piuttosto che un processo e pertanto non si investe in sperimentazione, si rifiuta a priori il valore dell’errore.

Come indicato altrove, è essenziale affrontare il tema della creatività in maniera sistematica, creando i necessari presupposti di mindset, di attitudine e responsabilizzazione.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Sviluppo

Nov 29 2020

Reskilling delle competenze, retraining e agilità professionale

Quando è importante anche il modo in cui si affrontano i cambiamenti

Il reskilling delle competenze è un tema molto attuale, la cui importanza è aumentata nei difficili mercati di oggi. Acquisire nuove competenze aiuta ad andare meglio incontro ai cambiamenti irreversibili in atto.  Ma non basta apprendere nuove competenze. È necessario anche dotarsi di un mindset, di una mentalità sempre più agile, dinamica. Una mentalità che aiuti a utilizzare pienamente le nuove competenze in contesti mutevoli. Una mentalità in grado di favorire un apprendimento continuo. Una mentalità che aiuti a muoversi costruttivamente nelle situazioni nuove che si incontrano e che richiedono risposte sempre nuove. Questa mentalità è particolarmente importante poiché oggi anche le competenze nuove diventano facilmente obsolete.

Chi non ha sentito parlare di reskilling delle competenze?

Reskilling è normalmente inteso come “insegnare a una persona nuove competenze in modo che possa fare un nuovo lavoro” o ricoprire altre posizioni all’interno di una organizzazione.

È una delle mode del momento. E non è un caso. Molti parlano di “reskilling”, “upskilling” (focalizzato sull’aiutare le persone ad acquisire competenze più rilevanti nella loro attuale posizione) “retraining” e chi più ne ha più ne metta. A volte sembra che il reskilling salverà le aziende e i professionisti dalle difficoltà dei mercati e dall’incertezza attuale.

Importanza del reskilling: una ricerca interessante

In una ricerca di McKinsey appena pubblicata, molti leader affermano che la situazione pandemica li ha spinti a rivedere con urgenza i loro programmi di formazione. E tuttavia questi ultimi non sono (ancora) all’altezza delle promesse e delle aspettative: molto si può fare per migliorarli.

L’articolo evidenzia che, durante il periodo pandemico, la percentuale degli intervistati che ritiene fondamentale rafforzare le competenze disponibili in azienda è passata dal 59% al 78%. Inoltre, i rispondenti ritengono che l’approccio ottimale per coprire i gap di competenze esistenti sia proprio il “reskilling”, rispetto alla possibile alternativa di sostituire i dipendenti con persone nuove, che già hanno le competenze ricercate.

Dall’inizio della pandemia, il 41% dei rispondenti dichiara di dedicare più tempo all’apprendimento, mentre il 35% dei rispondenti ha evidenziato di aver aumentato gli investimenti con lo scopo di costruire nuove capacità.

Sembra che la situazione di mercato abbia spinto le persone ad essere più attente al proprio percorso professionale, alle competenze che può mettere in campo.

reskilling

Le competenze sono importanti ma attenzione: quanto sono durevoli?

Ma quanto valore hanno poi queste competenze?

Se da un lato, infatti, competenze nuove o “rinfrescate” consentono di affrontare meglio alcuni compiti, attività o ruoli, dall’altro si pone il tema di quanto durano davvero quelle competenze.

In altre parole, non è chiaro per quanto tempo quelle competenze saranno importanti.

Un contesto di mercato, variabile, altamente incerto rende incerta anche la durevolezza di queste competenze.

Siamo sicuri che fare “reskilling” sia il modo migliore per affrontare l’incertezza? Siamo certi che quanto si apprende oggi servirà anche in futuro?

La risposta a questa domande è anch’essa incerta ma non rende meno rilevante il reskilling.

Fattori che spingono al cambiamento di lavori e competenze

Se diamo uno sguardo al Jobs Report 2018 del World Economic Forum, notiamo che, nelle 20 maggiori economie mondiali, 75 milioni di lavori verranno eliminati dalle tecnologie emergenti. Questo non significa che le persone verranno espulse dal mercato del lavoro. Lo stesso report dice infatti che, sempre grazie alle tecnologie, verranno creati 133 milioni di nuovi ruoli.

La crescente automazione dei lavori e la diffusione dell’Intelligenza Artificiale sono temi che rendono sempre più importante il reskilling delle competenze e la nascita di nuove tipologie di lavori. Si tratta di lavori in parte complementari a quelli esistenti e in parte completamente nuovi.

Ma questo non è l’unico punto.

Bisogna considerare altri fattori all’origine di questo fabbisogno e che rendono il reskilling indispensabile nelle organizzazioni. Mi riferisco alla crescente concorrenza.

È necessario rendere sempre più chiara, distinta e rilevante la propria proposizione di valore, la propria offerta.

Mi riferisco anche alle frequenti crisi di mercato, accentuate dalla situazione pandemica, che richiamano l’importanza di pensare velocemente e agire ancora più velocemente.

Perché ciò sia possibile, è necessario realizzare formazione e training in maniera massiccia. Questo aiuterà le aziende a “brillare” sul mercato, grazie al fatto di riuscire a mantenere o costruire una proposizione di valore forte e coerente. E ciò può avvenire con una forza lavoro agile, creativa, adattabile, in grado di perfezionare continuamente le proprie competenze.

Il reskilling è un approccio continuativo e va incoraggiato

Un primo passo per andare verso un efficace reskilling è di identificare i gap tra ciò di cui l’azienda ha bisogno e le competenze effettivamente disponibili.

È necessario poi fornire ai dipendenti indicazioni chiare e personalizzate, nonché un piano concreto di azioni di supporto, per consentire loro di apprendere facilmente le competenze di cui hanno bisogno.

Tuttavia, un piano o un approccio di reskilling delle competenze va costruito in modo da divenire una pratica continuativa, proprio per le incertezze che dicevamo. E se le persone non vengono stimolate a sufficienza e incoraggiate a cercare opportunità per apprendere e crescere, neppure l’azienda sarà in grado di farlo.

L’importanza della giusta mentalità e dell’adattamento

Il reskilling normalmente non è un processo di breve durata e tuttavia è probabilmente indispensabile. Abbiamo anche visto che le competenze possono divenire facilmente obsolete.

Anche per questo motivo, è importante che a questo processo si affianchi un percorso più ampio di supporto all’adozione di una mentalità sempre più agile e in grado di affrontare con crescente efficacia le quotidiane sfide professionali. Che sono sempre nuove. E che richiedono risposte sempre nuove.

Senza la flessibilità e l’agilità, il rischio è che un percorso di reskilling rimanga confinato alla replica di un approccio che, seppur amplia le capacità del singolo, non esplora fino in fondo il contributo che questi è potenzialmente in grado di apportare alle situazioni professionali sempre più complesse.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Competenze, Sviluppo

Giu 01 2020

Aumentare la motivazione, migliorare i risultati.

Soddisfazione, qualità del lavoro e risultati sono connessi alla motivazione individuale. Esistono vari livelli di motivazione, collegati a diversi livelli di energia, entusiasmo e intensità ad alto impatto. La motivazione è anche strettamente collegata all’espressione delle proprie potenzialità. Ma come aumentare la motivazione? E come può essere utile un coaching efficace?

Uno dei compiti fondamentali di un manager consiste nell’assegnare (o negoziare) obiettivi ai collaboratori e successivamente fare in modo che questi obiettivi vengano da essi fatti propri e conseguiti.

In genere gli obiettivi individuali sono definiti partendo dagli obiettivi dell’azienda, successivamente declinati tenendo conto delle caratteristiche e del ruolo di una singola persona.

È raro tuttavia che l’assegnazione di un obiettivo sia di per sé garanzia del fatto che il collaboratore persegua l’obiettivo con la determinazione e l’impegno ottimali.

Anche per questo, è importante la motivazione, ovvero ciò che spinge una persona verso il raggiungimento di uno scopo.

Motivazione “1” e motivazione “2”

Semplificando, consideriamo due livelli di motivazione.

Ad un primo livello è sufficiente una spinta “di routine” a realizzare compiti o attività per conseguire un obiettivo. Chiamo questa spinta motivazione “di base” o “motivazione 1”.

Esiste anche un livello motivazionale ”di potenziale” o “motivazione 2”.

In questo caso, la motivazione ha un quid in più. Una persona ha una spinta ad eseguire la propria attività o a conseguire un obiettivo con un livello energetico aggiuntivo, che va oltre la routine. La motivazione “2” contiene un elemento “magico e invisibile”, che arricchisce le azioni svolte. Mentre svolge le proprie attività, quella persona esprime le proprie potenzialità. 

La differenza tra i due livelli motivazionali consiste nella qualità energetica, nell’entusiasmo e nella forza vitale rivelata nella realizzazione delle attività. 

Vediamo ora come aumentare la motivazione e poi come passare alla “motivazione 2”.

Energia e motivazione per fare qualcosa di grande

Gli aspetti che qui consideriamo aumentare la motivazione sono i seguenti:

  • il livello di autonomia
  • Il senso di avere uno scopo
  • la valorizzazione delle proprie unicità
  • la possibilità di sperimentare.

Quando un manager si impegna a facilitare questi aspetti, accelera l’accesso alla motivazione “2”.

Vediamo i singoli aspetti singolarmente.

Aumentare la motivazione: il livello di autonomia

Un primo aspetto è rappresentato dal fatto che il collaboratore faccia propri gli obiettivi assegnati.

Nel momento in cui si appropria degli obiettivi, la motivazione diventa “intrinseca”: il collaboratore agirà avvertendo come proprio il desiderio di conseguire un certo scopo.

Secondo una ricerca svolta da Gallup, il 30% dei dipendenti dichiara che il proprio manager li coinvolga nella definizione di un obiettivo. E c’è, in questi casi, una probabilità 3,6 volte superiore che essi si sentano motivati.

La motivazione di origine “interna” genera una forza incredibile nel conseguire determinati risultati. Il collaboratore vive con maggiore soddisfazione ciò che sta facendo, lo troverà più interessante e coinvolgente. Si sentirà più creativo, sarà più interessato ad approfondire dati e informazioni disponibili. Sarà più determinato ad affrontare le difficoltà e sentirà che, oltre a svolgere un’attività, si sta realizzando.

Autonomia e assegnazione di un obiettivo. Un’apparente contraddizione

Per aumentare la motivazione “intrinseca” è utile aumentare il grado di autonomia delle persone.

Questo punto è particolarmente delicato, in quanto da un lato gli obiettivi dovranno essere assegnati dal manager e dall’altro è necessaria una certa autonomia. Questo sembra essere contraddittorio.

Come fare?

Quando si tratta di creare una motivazione intrinseca, non è necessaria la completa “libertà di scelta”. Conta invece invece la sensazione di aver partecipato, di aver contribuito alla scelta.

Questo genera un senso di autodeterminazione, anche nei casi in cui la partecipazione riguarda aspetti apparentemente non centrali.

Nella maggioranza dei casi l’autonomia sarà variabile e parziale.

Vari livelli di autonomia

Ci sono situazioni nelle quali è possibile solo un livello contenuto di autonomia. Come fare allora ad aumentare la motivazione?

Se è necessario assegnare sia l’obiettivo sia il modo per raggiungerlo, si può creare una certa partecipazione, invitando il collaboratore a prendere decisioni su alcuni aspetti secondari dell’attività.

Supponiamo, ad esempio, che al dipendente venga richiesto di svolgere più attività, che hanno il medesimo livello di priorità. Il dipendente potrà decidere autonomamente quale attività avviare per prima.

Anche aspetti, apparentemente secondari, generano invece un certo grado di libertà e di motivazione.

Ci sono situazioni che consentono un livello maggiore di autonomia. Ad esempio, può accadere che il dipendente non possa scegliere l’obiettivo, ma la modalità per raggiungerlo.

In questo caso, il dipendente sceglie anche quali capacità mettere in campo, avendo così un maggiore senso di controllo della situazione: aspetto che influenza favorevolmente i risultati che si ottengono.

Spiegare l’importanza di un obiettivo

In ogni caso, è importante spiegare al dipendente perché l’obiettivo assegnato ha un valore. Troppo spesso, i manager si limitano a dire ai loro dipendenti cosa devono fare.

Difficile che ci si impegni fino in fondo se non si capisce perché quell’obiettivo è desiderabile. 

Target

Il senso di avere uno scopo

Il livello di autonomia e l’appropriazione di un obiettivo aprono il tema del “senso di avere uno scopo”. Un collaboratore ha chiaro (sistematicamente e non sporadicamente) che certe sue azioni portano a risultati di valore, che il suo lavoro ha uno scopo e un valore. A volte è sufficiente sapere che le proprie azioni influenzano positivamente gli altri colleghi o la squadra.

Valorizzare le unicità individuali

Il livello di motivazione è anche collegato alla possibilità di avere uno “spazio” di auto-espressione. Tutti hanno un profondo desiderio di mostrare le proprie caratteristiche uniche. Di far emergere le proprie capacità distintive. Di dare un contributo unico all’interno del proprio team o della propria organizzazione. 

C’è una sorta di magia che si realizza quando si esprimono le proprie capacità uniche, una magia che genera un senso di vita che non sempre ha modo di emergere.

Si tratta di un senso di vitalità che soppianta quella sensazione di meccanicismo, a cui molto sono abituati e che avvicina l’uomo al robot, rendendo il robot un candidato migliore per sostituire le attività umane.

È importante che, ai vari livelli professionali, si valorizzino i contributi unici che si apportano, le caratteristiche distintive, facendo sentire le persone a proprio agio nell’essere se stessi.

La possibilità di sperimentare

Per aumentare la motivazione, è utile creare dei momenti e delle situazioni “sicure” in cui le persone possono sperimentare e compiere “errori”: le persone, sapendo di questi momenti, avranno così meno ansie e timori di sbagliare. Oltre vent’anni fa, ho dedicato la mia tesi di laurea al tema “l’errore come stile di management”, che approfondiva la sperimentazione come aspetto fondamentale per lo sviluppo.

Le aree di sicurezza consentono di sciogliere l’impegno dai normali vincoli quotidiani e aprono a scenari inesplorati di creatività. In effetti, quando ci si trova in situazioni di rilassamento e serenità, è più probabile che emergano intuizioni e innovazioni e che le persone crescano professionalmente. E questo impatta sulla motivazione.

Verso la motivazione “2”

Attraverso le modalità descritte, si cominciano a creare le basi per una espressione più completa delle potenzialità dei propri collaboratori, attraverso una più potente motivazione intrinseca.

In questo modo, si cominciano a porre le basi affinché la forza del collaboratore diventi la forza dell’azienda o del gruppo al quale appartengono e affinché, in ultima istanza, essi stessi siano più soddisfatti del loro lavoro e di quello che fanno.

Cosa determina lo stile motivazionale di un manager?

Che cosa influenza l’approccio alla motivazione di un manager? Nella mia esperienza ho potuto riscontrare almeno questi fattori:

  • la stima che il manager ha (più o meno consapevolmente) verso i propri collaboratori. Da notare che spesso la stima ha un effetto auto-avverantesi
  • il livello di esperienza e le attitudini “di partenza” dei propri collaboratori. Se questi ultimi non hanno il desiderio di accedere a nuovi livelli di motivazione, ogni azione rischia di essere inefficace
  • gli effettivi gradi di libertà di un manager, spesso influenzati dall’urgenza del manager: ad alta urgenza si tende a ricorrere ad uno stile più direttivo
  • il proprio stile manageriale, fortemente influenzato dalla storia professionale e dai livelli di consapevolezza.

Dalla motivazione “1” alla motivazione “2”

La motivazione “1” richiede a volte semplicemente un buon sistema incentivante, un capo che conosce le dinamiche emotive delle persone, una certa disponibilità del collaboratore.

La motivazione 2 richiede un impegno preciso di un leader, di un manager, un desiderio del dipendente e, come facilitatore, un coach facilitatore.

Il mondo della motivazione 2 è un mondo trasformativo, su scala differente. È un mondo poco conosciuto, in quanto è conoscibile solo per esperienza diretta.

Il livello 2 conferisce un salto nella qualità di ciò che si fa ed è a questo livello che le “potenzialità” diventano “attualità”.

Il ruolo del coach può essere importante per allenare un manager, un dipendente o un leader alle capacità motivazionali, per aumentare la consapevolezza e per favorire la conoscenza diretta della motivazione “2”.

Un coach efficace, soprattutto se con esperienza manageriale, facilita l’accesso a mondi motivazionali nuovi, a livelli di energia di cui spesso non si è consapevoli.

Un coach facilita l’accesso alla forza reale che si può mettere in campo, aiutando così a rendere la forza di un manager o dei suoi collaboratori la forza dell’azienda alla quale appartengono.

E nel momento in cui si presta la dovuta attenzione ai temi motivazionali, un’azienda diventa più agile, migliora la capacità di risposta, la resilienza e la capacità di realizzare innovazioni.

Written by Danilo · Categorized: Business Coaching · Tagged: Leadership, Management Development, Miglioramento Performance

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